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Sonetti del 1830 19

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi VI.djvu{{padleft:29|3|0]]nel 1826, per un “reo di omicidio e ladrocinio in persona di un prelato,„ fu rimesso fuori in Roma l’uso della mazzola, ma non della forca.]

CHI RRISICA ROSICA[1]

  Doppo c’Adamo cominciò cco Eva
Tutte le donne se sò fatte fotte,[2]
E tu le pijji pe’ ttante marmotte
D’annalle[3] a ggiudicà cor[4] me pareva!

  Penzi che tte se maggni[5] e tte se bbeva?
Oh vattelo a pijja[6] ddrento a ’na bbotte.
Te credi d’aspettà le peracotte?[7]
Si la vôi fà bbuttà,[8] ddajje la leva.

  Porteje un ventajjuccio,[9] un spicciatore,[10]
Pagheje la marenna[11] all’ostaria,
Eppoi vedi si[12] è ttenera de core.

  Te pozzo dì cche la Commare mia,
Che nun aveva mai fatto l’amore,
Pe’ un zinale me disse: accusì ssia.


Roma, 14 settembre 1830


  1. Nel rischio è il guadagno
  2. Si son fatte fottere.
  3. Da andarle.
  4. Col.
  5. Pensi che ti divori?
  6. A pigliare.
  7. Aspettar le peracotte: voler i successi senza alcuna propria opera per procurarli.
  8. Se la vuoi far buttar, far cedere.
  9. Ventagliuccio.
  10. Pettine da fissare sul capo le trecce.
  11. Merenda.
  12. E poi vedrai se.
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