< Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
320 Er còllera mòribbus

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi VI.djvu{{padleft:330|3|0]]

14.

  Zìttete llì, sboccato: so’[1] pparole
Da dìsse[2] queste ccusì a la sicura?
Nu lo sai che qui pparleno le mura?
Ma cche davéro[3] vòi ggiucatte[4] er zole?

  Si tte[5] sente quarcuno che jje dole,
Poverettaccio te! Nun hai pavura
Che tte mannino a Ttermini[6] addrittura,
A ggiucà cco’ le pale e le cariole?

  Te ne vò’ annà ttu ppuro[7] in ne la schiera
Dell’antri[8] galeotti esercitanti,
A ffà la priscissione p’er collèra?

  Eppuro[9] l’hai veduti tutti quanti,
Incatenati, a rritornà in galera
Co cquattro torce e ’r croscifisso avanti.[10]

20 agosto 1835

  1. Sono.
  2. Da dirsi.
  3. Davvero.
  4. Vuoi giuocarti.
  5. Se ti.
  6. Termini è il nome della piazza ove sorgono le rovine delle Terme di Diocleziano. [E dove, come avverte più giù anche l'autore, era ed è una parte delle prigioni.]
  7. Te ne vuoi andar tu pure.
  8. Degli altri.
  9. Eppure.
  10. La funzione che qui si ricorda è di storica verità. I galeotti ebbero gli esercizi di penitenza onde ottenere da Dio pietà per loro e per noi. Nell’ultimo giorno delle sacre funzioni ricevettero tutti la eucaristia, nel forte S. Angiolo, e quindi così santificati furono ricondotti processionalmente e in catene al loro bagno ne’ vecchi granai dell’Annona alle Terme.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.