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Er còllera mòribbus 323

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17.

  Io poi, regazzi mii, saranno vere
Tante terrorità cch’ariccontate,
Ma, o ppezzi de vangeli, o bbuggiarate,
Nun me ne vojjo dà ggnisun penziere.

  Viènghi,[1] nun viènghi, sciarimèdi[2] er frate,
Nun ciarimèdi, lo porti er curiere,[3]
Nu’ lo porti... pe’ mmé c’è bbon bicchiere
Da passà ffiliscissime ggiornate.

  Tutta sta gran pavura d’ammalamme?[4]
E cche gguaio sarà? Ttanto una vorta,
O pprest’o ttardi, ho da stirà le gamme.[5]

  Mica è una cosa nova che sse more;[6]
E ttoccassi[7] a mmé ppropio a uprì la porta,
L’èsse[8] er primo, per dio, sempre è un onore.

. . . . . . . . . . . . . . . . . .

  1. Vengo.
  2. Ci rimedi.
  3. Il corriere.
  4. Di ammalarmi.
  5. Gambe.
  6. Si muore.
  7. E se toccasse.
  8. L’essere.
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