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Er còllera mòribbus 337

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30.

  Oh ssentite mó st’antra bbuffonata
C’ha ffatto a Ancona er zor dottor Cappello.[1]
Va cco’ un cappuccio in testa, e sott’a cquello
Tiè un guazzarone[2] de tela incerata.

  Sopr’un occhio sce porta uno sportello
De vetro, e in mano un fasscio d’inzalata.[3]
De grazzia, e da ch’edè[4] st’ammascherata?
Da pajjaccio, da Cola o da Coviello?

  Bbasta, lui co’ sta bbella accimatura[5]
Se[6] presenta a l’infermi accap’a lletto,
Pe sballàlli[7] ppiù ppresto de pavura.

  Defatti appress’a llui passa er carretto,
E straporta ppiù mmorti in zepportura
Che nun tiè[8] er Papa cardinali in petto.

31 agosto 1836

  1. [Uno de' due medici che il Governo mandò da Roma in Ancona verso la fine d'agosto del 1836: al qual tempo il sonetto indubitabilmente si riferisce, benchè sia stato scritto nel 39. Cfr. la nota 2 del ventesimottavo di questi sonetti.]
  2. [Lungo camiciotto di rozzo panno di canapa, che portano i contadini quando fanno certe faccende. E detto così anche nell'Umbria, o perchè serve a riparar dalla guazza, o perchè ci si guazza dentro. In quest'ultimo caso però, se il vocabolo fosse d'origine umbra o romana, dovrebbe dir sguazzarone.]
  3. [Un fascio, un mazzo, d'erbe aromatiche, suppongo.]
  4. E da che è.
  5. [Acconciatura di gala.]
  6. Si.
  7. Per ispacciarli.
  8. Non tiene.
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