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222 della lega lombarda

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Così diserti di ogni conforto que’ miserabili, si adoperarono con tavole e stuoie a coprirsi il capo dalla pioggia e dal sole. Medicava gli addolorati loro spiriti la vista della vicina patria, da cui non istaccavano gli occhi; e la speranza che al sol vederli che facesse il venturo Imperadore in tanta disperazione di vita, li avrebbe commiserati, e ricondotti in città. Venne Federigo, li vide e li commiserò alla tedesca. Comandò, s’inabbissasse Milano. Gli erano confortatori ai fianchi dello scellerato consiglio gl’Italiani delle città, nemiche a quella temuta repubblica. Comprarono coll’oro la disonesta vendetta. La vendeva il Tedesco, perchè voleva sbranata l’Italia colle mani dei propri figli. Ritenne spettatrici di quell’eccidio le proprie milizie, e lo dette ad operare ai Lodigiani, ai Pavesi, ai Cremonesi, ai Comaschi, a quelli del Seprio e della Martesana, assegnando a ciascun popolo una contrada della città a distruggere. Non è a significare con parole la rabbia con cui quegl’Italiani si avventassero al guasto della infelice Milano. La memoria della sua potenza, e le gelosie municipali fino a quel tempo contenute impotenti dalla sua forza, dettero tale una celerità a quelle mani sagrileghe, che il distrutto da loro col ferro e col fuoco in pochi dì, sarebbe stata una maraviglia diroccare in due mesi.[1] Furono risparmiate le sole chiese;[2] i bastioni della città si fecero rispettare per la loro saldezza[3]: di una vasta città, decorata di splendidi edifizî non rimase di vivo che una cinquantesima parte. Rimasero in piedi in tutto quello esterminio le case di quei nobili, che avevano tradita la patria, quasi monumento

  1. ... qui omnes tantum ad destructionem conati sunt, quod usque ad proximam diem Dominicam Olivarum tot de moenibus civitatis consumaverunt, quod ab initio a nemine credebatur in duobus mensibus posse dissipari. Otto Morena pag. 1105.
  2. Vedi Puricelli, Mon. Ambros. n. 285. e presso il medesimo il Fiamma, Chron. Maj. c. 885.
  3. Vedi Nota D.
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