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libro quarto 313

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia della Lega Lombarda.djvu{{padleft:319|3|0]]la egual divisione delle spoglie, espugnata che fosse la città[1].

Là dove i monti del Piceno vanno a bagnarsi nell’Adriatico, spunta nel mare un promontorio, il quale sprolungandosi da ponente a levante, bruscamente piega verso tramontana, ed apre un bel seno di mare, che prospetta Venezia in fondo al suo golfo. Su per questo seno sorge la città di Ancona, la quale, quasi a guardarsi da quella potentissima reina dell’Adriatico, va ad arroccarsi sino su le soprane parti del monte, che con due creste la veglia. Il dorso del promontorio verso levante così repentino cade nel mare, che non si fa salire, e tien luogo di ottimi bastioni. Il lato che guarda mezzodì, è il solo oppugnabile da sforzo di terra. La città è malamente assicurata da un molo, il quale dando una insufficiente volta, lascia troppo largo sbocco ai venti e ad un’armata nemica; perciò quel porto è stanza poco sicura ai naviganti, inopportuna alle difese. Ai tempi che narriamo era benissimo affortificata la città, ma mal preparata a sostenere un assedio. Imperocchè molti de’ cittadini erano fuori ai loro negozî mercantili; ed essendo la primavera, le vettovaglie dell’anno erano allo scorcio, e le nuove non ancora mature. Tra per lo scarso numero de’ difensori e per difetto di provvigioni, non pareva che potesse a gran pezza durarla, messo che si fosse intorno il nemico[2]. È a dire che gli Anconitani non pensassero ad un assalimento, il quale segretamente aveva apparecchiato l’Arcivescovo Cristiano, tenendone trattato co’ Veneziani.

Questo Cristiano, prete, era il più fedele cagnotto di Federigo in queste nostre regioni: perciò intrusolo nel seggio di Magonza, creatolo Cancelliere dell’Impero, non era alcuno, in cui più si affidasse, perchè nissuno come quegli

  1. Saracini, Storia della città d’Ancona Par. 2. lib. 6.
  2. Magistri Boncompagni De Obsidione Anconae Cap. 3. S. R. I. tom. 6. p. 929.
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