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libro primo 61

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia della Lega Lombarda.djvu{{padleft:67|3|0]]papale autorità. Tempestata la papale sedia da cittadini tumulti, dalla superbia de’ patrizî, dalla prepotenza dei Duchi di Spoleto e dei Re d’Italia, era dentro rosa da un verme, dico da un certo diritto degl’Imperadori di entrare nelle elezioni dei Papi, approvarle, e che so io. Poichè in questo preteso diritto è tutta la suprema ragione de’ rapporti, in che si mise il Papato con l’Impero, preziosi rapporti all’indipendenza italiana, è mestieri arrestarvisi alquanto.

Correndo i primi quattro secoli della Chiesa, i Papi vennero eletti dal Clero, presente il Romano popolo: non fu alcuna laicale potestà che si cacciasse in quel negozio. Primo Odoacre vi s’intruse. Morto Simplicio Papa, nell’assemblea del Clero, che sceglieva il successore, si appresentò certo Basilio intitolalo Prefetto del Pretorio, Patrizio, a tenervi le veci del Re. Costui sfoderò un decreto del morto Simplicio, che impediva la scelta del Papa, innanzi fosse consultata la mente del Re[1]. La scritta papale era apocrifa: forse avevale dato corpo il raccomandarsi di Simplicio ad Odoacre, perchè colla sua assistenza avesse cessato ogni scandalo. Questo ufficio del laicale principe di contenere in pace ed ordine il clericale parlamento era ben altra cosa che il diritto di dire il proprio avviso intorno al Papa da scegliersi. Cominciarono i Papi a levar la voce contro la intrusione de’ laici in quell’elezioni. Simmaco sancì, che neppure i Re potessero mettervi le mani: ma i Re fecero i sordi[2]. Teodorico creò Papa Felice IV di proprio talento: strepitò il clero; ma bisognò starci: e l’abuso del principesco consenso si volse in uso. Ne furono gelosi gl’Imperadori di Costantinopoli, deputando gli Esarchi di Ravenna a intervenire alle elezioni; e Giustiniano costrinse i nuovi Papi a sborsargli un tremila soldi d’oro[3], se vo-

  1. Vedi Labbè Concil. T. 4. col. 1334.
  2. Baron. Ann. Eccl. 502.
  3. Murat. Ann. 555. = Vedi Vita S. Greg. M. lib. I. c. 7. Oper. Tom. IV. pag. 216.
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