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64 della lega lombarda

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia della Lega Lombarda.djvu{{padleft:70|3|0]]Prelati della Chiesa, furono tutto corpo. Compravano l’episcopale dignità, si gittavano alle femmine. Vendevano gl’Imperadori, e palpavano la chericale incontinenza. I preti seguivano, e forse avanzavano, i Vescovi ne’ disonesti connubî. E poichè in Lombardia era la parte più fradicia del clero, i Nicolaiti, setta di questi concubinarî, in un loro conciliabolo tenuto in Basilica fermarono, che il Papa non si scegliesse d’altro paese che dalla Lombardia, detta da essi Paradiso dell’Italia. E ne recavano la ragione; perchè fosse stato uomo di dolce tempera ed atto a compatire alle umane fralezze[1]. Il popolo vedeva e sentiva: e sebbene tenero sotto la idea religiosa, non poteva più tenersi nell’antica venerazione verso il clero. Il vincolo che legava il vassallo al Vescovo era più morale che materiale. Chi si era fatto servo di una Chiesa per amor di Dio, curvava il dorso sotto la mano episcopale men per timore, che pel pensiero di superne retribuzioni. Perciò cominciando a divenire Vescovi e preti men che uomini, il vassallo incominciava a levar la fronte, a vedere, se non altro, di qual febbre infermassero i lor padroni: e l’idea religiosa ammogliata alla persona del Vescovo doveva a poco a poco ecclissarsi, allentarsi il vincolo di suggezione, e sorgere ne’ vassalli il pensiero di trovar qualche altra via di salute eterna a trarsi fuori del feudale servaggio.

Era in piedi il Monachismo, che come impronto censore vegliava l’indisciplinato clero. I Monaci di S. Benedetto (non ve n’erano altri) erano ricchissimi, tra per donazioni pietose, e per la solerte cura che avevano presa delle abbandonate campagne. L’agricoltura da essi rilevata fu più pronta rimuneratrice delle loro fatiche, che la religione de’ popoli ammiratrice delle loro virtù. Eran ricchi quando si appresentarono alle porte delle Badie i primi oblatori; imperocchè il frutto della fatica fu presto ed abbondante. L’esuberanza delle ricchezze doveva a poco a poco snervarli, far

  1. Labbè T. IX. pag. 1155.
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