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18 O r i g i n e   d e l l e   A r t i

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:124|3|0]]artisti etruschi e i greci non si limitarono più, come gli egizj, alle figure ritte e senza mossa, ma i diversi atteggiamenti ne espressero. E poiché nelle arti il bello è sempre preceduto dalla scienza, e questa è fondata su strette e severe regole, si cominciò con un’espressione regolare e forte. Allora il disegno fu esatto, ma angoloso; energico, ma duro, e sovente più forte del dovere, quale negli etruschi lavori lo scorgiamo; e quale pur si vide rinascere, con maggior perfezione però, in tempi a noi più vicini nelle opere di Michelangelo. Veggonsi ancora lavorati in questo gusto de’ bassi-rilievi in marmo, e delle gemme incise, che descriverò a suo luogo. Fu questa la maniera, che i summentovati scrittori paragonarono all’etrusca[1], e che pare essere rimasta propria della scuola eginetica; poiché gli artisti di quell'isola abitata dai Dorj[2] sembrano avere più d’ogni altro popolo conservato l’antico stile.

§. 26. Pare che Strabone[3] abbia usato la voce σκολιὸς volendo spiegar con essa l’espressione forzata dell’atteggiamento nelle figure che più non erano secondo l’antica maniera. Imperocché narrando egli che vedeansi in Efeso molti tempj, altri antichissimi con statue di legno de’ primi artisti, altri più recenti con statue di moderno lavoro, chiama quelle ἀρχᾶια ξόανα, e queste Σκολιὰ ἔργα. Or egli non volle senza dubbio darci ad intendere che le statue più recenti mediocri fossero e difettose, siccome l’ha inteso Casaubono, che tradusse[4] σκολιὸς per pravus[5]; poiché Stra-


bone

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  1. Diod. Sic. et Strab. ll. cc.
  2. Her. lib. 3. cap. 73. e seg. pag. 652.
  3. Geogr. lib. 14. pag. 948. A.
  4. Casaubono non ha tradotto Strabone, ma commentato soltanto. Per rispondere alle tante critiche fatte dagli eruditi alla sua edizione di quello scrittore, principalmente per gli errori, che non avea corretti nella traduzione, di cui si serviva, egli protestò nella prefazione a Polieno, ripetuta in questa parte da Jansonio nella sua prefazione premessa all’edizione di Strabone fatta nell’anno 1707. in Amsterdam, di cui ci serviamo, che la principale sua cura, e impegno era stato di restituire il testo dello Storico alla sua vera lezione, non di riformare la traduzione, o emendarne gli errori, come avrebbe potuto fare agevolmente.
  5. Cum autem plura sint ibi templa, antiqua alia, alia recentia: in antiquis vetusta sunt simulacra, in novis opera prava.
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