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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:282|3|0]]Indi a poco, cioè nell’anno 489. e nell’olimpiade 129., fu conquistata da M. Flavio Fiacco Volsinia, oggidì Bolsena, che significa città degli artefici, secondo l’etimologia del nome che alcuni[1] traggono dalla lingua fenicia; e da quella sola città furono portate a Roma due mila statue[2]; tale a un di presso farà stata la sorte delle altre città etrusche.
§. 14. Si può da ciò facilmente comprendere come Roma altre volte ripiena fosse d’una quantità immensa di statue greche e di monumenti etruschi, e come anche oggidì se ne disotterrino frequentemente[3]. Sotto i Romani però seguitarono gli Etruschi a coltivare le arti, siccome pur fecero i Greci, quando subirono il medesimo destino. Non troviamo il nome di nessun artefice etrusco, tranne Mnesarco padre di Pittagora, che incideva in gemme, e si crede essere stato toscano[4].
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- ↑ Hist. univ. d’une Socìeté, ec. T. XIV. liv. IV. sect. I. chap. XVII. pag. 218.
- ↑ Plin. lib. 34. cap. 7. sect. 17. pag. 646.
- ↑ Molto maggior numero di questi monumenti si conoscerebbe, se, come bene osserva monsignor Guarnacci Origini ital. l. 7. cap. I. Tom. iI. pag. 299. e segg., per una inveterata prevenzione non si fossero per lo passato voluti far credere greci, o romani; e anche al giorno d’oggi non si continuasse a mettere in dubbio, se tanti che se ne cavano in Toscana alla giornata siano veramente etruschi, anche prima di passare in altre regioni.
- ↑ Non ostanti gli sforzi del march. Maffei nelle Offervaz. letter. Tom. IV. pag. 72., del signor canonico Filippo Laparelli in una dissertazione sopra la nazione, e la patria di Pittagora inserita nel Tomo VI. de’ Saggi dell’Accademia di Cortona, e del lodato monsig. Guarnacci loc. cit. lib. 6. cap. 1. pag. 109., e cap. 2. pag. 160., il nome rispettabile del sig. abate Tiraboschi ci dovrebbe far credere per cosa dubbiosa in tutto, ed incerta, che quel filosofo fosse etrusco, e per conseguenza anche il di lui padre. Nella Storia della Letterat. ital. Tom . I. parr. I. §. XXVIII. e XXIX. egli esamina i passi d’Eusebio De præp. evang. lib. 10. c. 4. p. 470. D., di Clemente Alessandrino Strom. lib. 1. num. 14. p. 352., di Porfirio De Vita Pythagoræ, princ. di Laerzio De Vit. philosoph., princ., di Plutarco Symposiac. lib.i. quæst. 7. pag. 727., oper. Tom. iI., su i quali si appoggiano i detti scrittori; ed osserva che essi altro non fanno che riferire le diverse opinioni intorno alla patria di Pittagora, tra le quali è quella, che lo fa etrusco. Suida per ultimo, egli dice, non solo non dà la Toscana per patria a Pittagora; ma nemmeno vuol che si dubiti, che ei non fosse di Samo: Pythagoras Samius. Ma qui io mi maraviglio, per usare gli stessi suoi termini contro Maffei, e Laparelli in proposito del passo di Plutarco, che questo valente Autore o non abbia letto, o abbia dissimulato ciò che dice nell’articolo precedente Suida stesso: Pythagoras Samius, genere vero Tyrrhenus Mnesarchi sculptoris anulorum filius. Cum enim esset adolescens, ex Tyrrhenia cum patre Samum migravit... Apud Ægyptios etiam, & Chaldæos disciplinis eruditus rediit Samum. Quam cum Polycratis injusto dominatu teneri vidisset, Crotonem in Italiam abiit; apertaque ibi schola, quingentos, & amplius discipulos habuit. Fuerunt ei fratres duo: natu major Eunamus, medius vero Tyrrhenus. Egli non dubita punto di farlo etrusco; e se lo chiama Samio, è perchè in quell’isola dimorò molto tempo con suo padre, come fa offcrvarc anche Laerzio loc. cit. Così potrà dirsi di chi lo fa di Tiro, di Lesbo, o anche Egiziano. Pittagora viaggiò molto, e lasciò fama di sé in molti paesi. Forse ognuno di questi avrà ambito di farselo cittadino. Si vegga il Laparelli loc. cit. pag. 91.