< Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
208 D e l l e   A r t i   d e l   D i s e g n o

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:318|3|0]]arte de’ Sanniti e de’ Volsci nulla, ch’io sappia, si è fino a noi conservato, fuorché due monete: de’ Campani però, oltre le monete, ci restano de’ vasi di terra dipinti. Dei primi due popoli per tanto solo riferirò generalmente qual ne fosse la costituzione e ’1 costume, onde argomentar se ne possa lo stato delle arti presso di loro; e quindi tratterò più diffusamente de’ Campani.

§. 1. Potrà dirsi delle arti presso que’ due popoli ciò che dicesi del linguaggio, il quale era Osco[1], che, ove pur non fosse un dialetto dell’etrusco, deve almeno esserne stato poco dissimile[2]. Ma siccome non sappiamo le differenze dei dialetti di quelle nazioni, così nemmeno possiamo distinguere le monete o le gemme, che di esse forse ci pervennero, e così dell’arte loro con certezza giudicare.

[Sanniti...]

§. 2. 1 Sanniti amavano la pompa; e sebbene fossero una nazione guerriera, pure i piaceri della vita assai ricercavano[3]. Aveano in guerra gli scudi intarsiati d’oro e d’argento[4]; e in un tempo, in cui sembra che i Romani poco conoscessero l’uso del lino, la scelta soldatesca de’ Sanniti erane vestita anche in mezzo al campo[5]; anzi narra Livio che, nella battaglia de’ Romani sotto L. Papirio Cursore, quelli[6]


cit-

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:318|3|0]]


  1. Liv. lib. 10. cap. 13. num 20.
  2. Vegg. monsignor Guarnacci Orig. ital. Tom. iI. lib. 6. cap. 1. pag. 112. segg.
  3. Casaub. in Capitol. pag. 106.
  4. Liv. lib. 9. cap. 28. num. 40.
  5. Id. lib. 10. cap. 27. num. 38.
  6. de Etr. reg. Tom. iI. l. 4. c. 106. chiama terza Etruria; e siccome leggiamo in Polibio Hist. lib. 2. pag. 105. ed in altri scrittori che questi discacciati furono dai Galli, Insubri, Cenomani, Aniani, Boj, e Senoni, perchè a cagione del molle lor vivere erano divenuti men coraggiosi e men forti, è probabile che la mollezza col lusso, e conseguentemente colle arti andasse congiunta. Dobbiamo però confessare che dell’arte loro non abbiamo monumenti degni di considerazione: ben misere cose sono quelle che si sono or qua or la disotterrate; ed è in oltre incerto se opere siano qui formate, ovvero trasportatevi dall'Etruria. De’ Galli, che agli Etruschi succedettero, sappiamo per testimonianza de’ mentovati scrittori che etfi portavano molti fregi d’oro e di altri metalli; ma che, essendo genti inquiete e sol dedite alla guerra, ciò unicamente curavano che fosse di facile trasporto. Aveano però de’ tempj, e in quello di Minerva a Milano serbavasi un vessillo d’oro Polib. loc. cit. p. 119. in fine [ Più vessilli, come dice Polibio.] Non è quindi improbabile la conghiettura dell’anonimo Maurino [ il P. Martin ], Expl. de div. man. singul. &c. præf. pag. XI., secondo cui varj monumenti, riconosciuti per etruschi, devono piuttosto credersi gallici: quale fra gli altri è quel preteso eroe ferito, presso Gori Mus. etr. Tom. I. Tab. 115., che ad un giovane soldato s’appoggia, siccome può argomentarsi dal panneggiamento che è gallico, anziché etrusco.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.