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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:324|3|0]]fatto sconosciuto in Italia, almeno nella parte meridionale di essa. Buonarroti vuole ricavare un argomento dalle corone, dai vasi in mano di Bacco, dagli stromenti musicali, e dalle cassettine quadrate, che dipinte si vedono su tai vasi, e non già fu i greci lavori, o in questi almeno hanno una differente forma[1]; ma queste osservazioni appena una leggiera probabilità somministrano. Egli non fu però sì poco versato o malavveduto da voler asserire quanto gli attribuisce Gori[2], cioè che gli dei e i tratti favolosi fossero espressi su alcuni vasi in maniera totalmente diversa da quella, in cui rappresentarli sogliono ne’ greci monumenti; troppo facilmente gli si farebbe dimostrato il contrario. L’autorità di Gori non è altronde qui d’alcun peso: egli non mai uscito da Firenze sua patria non ha potuto cogli occhi propri vedere ed esaminare se non poche fra le vetuste opere dell’arte[3].

§. 10. Finalmente siccome non può negarsi che la maggior parte de’ vasi noti agli eruditi non siano stati trovati nel regno di Napoli, i fautori degli Etruschi, per conservarli alla loro patria, vogliono rimontare ai più antichi tempi della storia, ed a quell’epoca, in cui quella nazione per l’Italia tutta si era estesa; ma non osservano poi che il disegno della maggior parte di quelle pitture indica tempi a noi più vicini, in cui l’arte o era giunta già alla sua perfezione, o cominciava almeno ad avvicinarvisi, secondo che più o meno antichi so-

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  1. Expl. ad Dempst. Etrur. §. 9. pag. 15.
  2. Difesa dell'alf. etrusc. Pref. pag. CCV. [ Gori non gli attribuisce niente di più di quello, che dice realmente.
  3. Il Gori, sebben a stento, pur alla fine si è ricreduto di quella sua opinione. Fu egli convinto dagli argomenti addottigli in una lettera dal dotto monaco Casinese P. di Blasi siciliano, alla quale con un’altra dei 4. gennajo del 1749. rispondendo, ammette vasi greco-siculi differenti dalla maniera etrusca; e tale fra gli altri riconosce un bel vaso figurato esistente nel museo del monistero martiniano di Palermo, dato poi alla luce e illustrato dallo stesso di Blasi, Dissert. V. Vol. I. Saggi di Diss. dell’Accad. Palerm.
  4. a l'Hist. nat. des anim. sec. par. pag. 261. segg. Mi pare piuttosto quello, che dagli antichi si chiamava otus, uccello notturno, che ha alcune penne in capo a modo di corna, come dice lo stesso Plinio cap. 23. sect. 33., e Ateneo lib. 9. cap. 10. pag. 390. in fine: e secondo che osserva l’Arduino nelle emendazioni alla citata sezione 29. di Plinio, non può essere la demoiselle de Numidie, quale è creduto da molti scrittori, e da Perrault loc. cit. pag. 263. e pag. 181. segg.
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