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p r e s s o g l i E t r u s c h i , ec. | 237 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:347|3|0]]glio? La maggior parte de’ monumenti etruschi rimanici consiste in gemme, le quali sono come piccole schegge d’una distrutta foresta, di cui restate sono in piedi appena alcune poche pianticelle, atte soltanto a servire d’indizio del generale abbattimento. A compimento della disgrazia non possiamo nemmeno sperare di scoprire lavori de’ tempi floridi di quelle nazioni. Aveano bensì gli Etruschi nel paese loro una cava di marmo a Luna[1] (oggidì Carrara), una delle dodici loro città capitali; ma i Sanniti, i Volsci, i Campani non trovarono ne’ loro dintorni alcun marmo bianco, onde
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- ↑ Il marmo delle cave di Luna, se non per la durezza, per la candidezza almeno, ha superati i più bei marmi dell’Egitto e della Grecia, senza eccettuarne lo stesso marmo pario, siccome attesta Plinio lib. 36. cap. 5. sect. 4. num. 2. Ma sebbene quelle cave fossero nell’Etruria, nessun etrusco lavoro troviamo fatto di quello marmo, dal che si può probabilmente inferire che ignoto fosse agli artisti etruschi. Abbiamo pur di ciò un argomento nel medesimo Naturalista loc. cit. che la sua storia scrivea verso la metà del primo secolo cristiano. Parlando egli del marmo lunese, lo dice poc’anzi (nuper) scoperto. Vero è che quel poc’anzi non deve prendersi nel più stretto senso, poiché narra altrove lib. 36. cap. 6. sect. 7. che, a’ tempi di Giulio Cesare, Mamurra cavaliere romano ornata avea la propria casa di colonne di marmo caristico ossia lunese, dando di ciò il primo esempio a’ suoi concittadini. Appare per tanto che poco prima dell’era cristiasa si cominciò a far uso del marmo di Carrara; il che può assai giovare a determinar l’antichità delle statue in esso scolpite. [ Considerando un poco meglio quelli luoghi di Plinio, si può far risalire a’ tempi anteriori il principio delle cave di quello marmo. Nel lib. 36. c. 5. sect. 4. n. 2., non dice so storico, che nuper poc’anzi si fossero aperte le cave dei marmi di Luna; ma bensì, che nuper poc’anzi si era trovata in esse un’altra qualità di marmo più bianco di quello vi si cavava prima. Omnes autem tantum candido marmore usi sunt e Paro insula, quem lapidem cœpere lychnitem appellare, quoniam ad lucernas in cuniculis cæderetur, ut auctor est Varro: multis postea candidioribus repertis, nuper etiam in Lunensium lapidicinis. Così nell’altro luogo ove parla di Mamurra, dicendo ch’egli il primo fece fare per il suo palazzo le colonne tutte d’un pezzo, alcune di marmo caristio, alcune del lunese, non dice che sia stato il primo a trarre marmi da Luna; ma che sia stato il primo a ornare la sua casa di colonne, e di colonne tutte d" un pezzo, del marmo caristio, e del lunese; supponendo che nell’uno, e nell’altro luogo da prima vi esistessero le cave. Adjecit idem Nepos, eum primum totis ædibus nullam nisi e marmore columnam habuisse, omnes solidas e Caristio, aut Lunerisi. Infatti Strabone, il quale viveva ai tempi di Augusto, poco dopo Mamurra, nel lib. 5. pag. 340. A. dopo aver detto che dalle cave di Luna si avea marmo bianco, e di diverso colore, che tendeva al ceruleo (come lo vediamo anche al dì d’oggi), in quantità grande, e in pezzi grandissimi da farne anche le intere colonne; soggiugne, che molte delle più magnifiche fabbriche di Roma, e di altre città, erano con esso adornate: Fodiuntur ibi lapides albi, & discolores, ad cæruleum vergente specie; magno numero, & mole, ut etiam columnæ, ac prægrandes tabulæ, unico constantes lapide inde exscindantur. Itaque pleraque egregiorum operum, quæ Romæ, & aliis in urbibus visuntur, materiam habens inde petitam. Facile enim lapis avehi potest, cum fodinæ mari e propinquo immineant, atque a mari Tyberis excipiat. Tra le fabbriche di Roma si contava allora il cospicuo tempio d’Apollo sul Palatino eretto da Augusto, come abbiamo da Svetonio nella di lui vita cap. 29., e fatto appunto di marmi bianchi di Luna. Cosi ci attesta Servio ad Æneid. lìb. 8. vers. 720., ove il poeta parla di quel tempio:
In templo Apollonis in Palatio, dice lo Scoliaste, de solido marmore effecto, quod allatum fuerat de portu Lunæ, qui est in confinio
Ipse sedens niveo candentis limine Phoebi
Dona recognoscit populorum, aptatque superbis Postibus.