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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:365|3|0]]v’ebbero, anche ne’ primi tempi, non per altro celebri e conosciute che per una bella statua. Tale fu Alifera per una bella Pallade di bronzo, opera di Ecatodoro e di Sostrato[1].

[... e la stima che aveasi degli artisti.]

§. 20. Se in tanto pregio tenute erano le statue, ognuno ben sente quanta stima far si dovea degli scultori. Pregiavansi ne’ tempi antichi gli uomini più savj, ed erano i più conosciuti in ciascun paese, come il sono fra noi li più ricchi possidenti. Cosi fu il più stimato a’ suoi giorni Scipione il giovane, che accompagnò in Roma la dea Cibele[2]. A tale stima aveano diritto anche gli artisti che, al dir di Socrate[3], sono i soli veramente savj, poiché lo sono e nol compajono: e forse di tal verità era intimamente persuaso Esopo, che perciò solea frequentemente usare cogli scultori e cogli architetti[4]. Ne’ tempi posteriori il pittor Diognete fu uno di quei che insegnarono la saggezza a Marco Aurelio, ed ebbe questi a confessare, che da lui appreso avea a discernere il vero dal falso, e a non adottare cose frivole e di poco momento per importanti. Un artista potea divenir legislatore, poiché tutt’i legislatori non furon che semplici cittadini, siccome osserva Aristotele[5]: potea divenire condottiere d’eserciti, siccome Lamaco, uno de' più poveri cittadini d’Atene[6], e vedere la propria statua presso quella de’ Milziadi e de’ Temistocli, anzi degli dei medesimi[7]. Così Senofilo e Stratone collocarono le


pro-

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  1. Polyb. lib. 4. pag. 340. D. [ Cosi lo fu Tespi a riguardo della famosa statua di Cupido, lavoro di Prassitele. Cicerone in Verr. Act. 2. lib. 4. cap. 2.
  2. Livio lib. 29. cap. 12. num. 14.
  3. Plat. Apoiog. Socrat. op. T. I. p. 22. D. [ Dice soltanto, che avendo consultato gli artisti per vedere se erano più saggi di lui, tali aveali trovati nelle loro arti.
  4. Plut. Conv. VII. sap. oper. Tom. iI. pag. 155. C. [ Per quanto io capisco, Plutarco parla di Esopo in senso morale, scrivendo cioè a nome di un altro filosofo, che egli guardasse il materiale delle case, ossia le opere dei muratori, e degli scarpellini; non il formale, o la gente che le abitava, e il loro costume. Tu vero fabrorum, & lapicidarum opera circumspicis, eaque prò domo habes: non ea, quæ intus quisque sua habet, liberos, conjugem, amicos, familiam: cum quibus probe compositis si quis vel in fovea formicaria, vel in nido aliquo degit, rerumque communitate utitur, domum is bonam, & beatam incolit.
  5. Polit. l. 4. c. 11. p. 503. princ. op. T. iiI.
  6. Thucyd. lib.4. cap. 75. pag. 282.
  7. Non v’era distinzione di persone, e di natali, e ad altro non guardavasi che al me-
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