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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:473|3|0]]pag. 207. Questo vaso venne da Alessandria d’Egitto, ove probabilmente ne’ bassi tempi era stato trasportato dal regno di Napoli. Ivi, senza dubbio, vien rappresentato Ercole quando su venduto alla mentovata Onfale, che qui siede in [... e della pittura d’un vaso Hamiltoniano.] compagnia di tre altre figure muliebri. Questa regina, oltre la sottoveste, è tutta in un sottile e trasparente velo involta, che non solo la mano destra interamente le asconde, ma le ricopre la parte interiore del volto, e giugne fin sul naso, quale appunto vedesi la testa d’Ercole sulla gemma mentovata; e se l’artista avesse dovuto terminare l’intera figura d’Ercole, avrebbelo certamente nella stessa guisa vestito; poiché eziandio gli uomini di Lidia portavano un panno che sino ai piè loro scendea, detto βάσαρα [1], e chiamavasi pur λύδιος coll’aggiunto di λεπτός, cioè sottile, che così dee leggersi presso Ateneo[2], chechè ne pensi Casaubono[3]. Ercole, che ad Onfale si presenta, appoggia la man destra sulla sua clava, e colla sinistra tocca a lei le ginocchia, siccome coloro far soleano che da altri imploravano qualche favore. In mezzo a quelle due figure ne sta sospesa in aria una piccola virile alata ed ignuda, che sembra essere un Genio, quando pur non fosse Mercurio che vende Ercole a quella regina[4]; e in tal caso sarebbe questo fra tutti gli antichi monumenti il solo Mercurio con lunghe ale al tergo. Potrebb’eziandio questo fanciullo alato e tutto bianco rappresentare l’anima d’Ifito, ucciso da Ercole, il quale in espiazione di tal omicidio dovè, secondo l’oracolo d’Apollo, esser ad Onfale venduto[5]. Forse anche è quella l’immagine dell’Amore che richiama la stessa regina dalle sue compagne, colle quali intertenevasi, affinchè possa più facilmente cogliere colle dolci maniere e coi teneri sguardi il


Z z ij gio-

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  1. Poll. Onom. lib.7. cap. 13. segm. 60.
  2. Deipnos. lib. 6.cap. 16. p. 256. in fine.
  3. In Athen. lib. 6. cap. 16.
  4. Sophocl. Trachin. vers. 280., Apollod. Bibl. lib. 2. cap. 6. § 2. pag. 125.
  5. Diod. Sic. lib.4. §. 31. pag. 276.
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