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374 D e l   B e l l o   c o n s i d e r a t o

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:484|3|0]]„ mi se gli Ateniesi sieno stati da Pericle renduti migliori, o piuttosto loquaci e viziosi? E Caricle così gli risponde: chi può dir questo, se non coloro che hanno le orecchie „ contuse e rotte?„ Τῶν τὰ ὦτα κατεαγότων ἀκούεις ταῦτα: cioè coloro i quali non altro fanno che battersi nella palestra. Ciò probabilmente si riferisce agli Spartani, come quelli che meno di tutti gli altri popoli amavano le arti introdotte da Pericle in Atene, e più dilettavansi degli esercizi del corpo. Non so per tanto approvare la traduzione che ne fa Serrano in questi termini: Hæc audis ab iis, qui fractas obtusasque istis rumoribus aures hahent: cioè „ questo odi dir da coloro che hanno le orecchie piene di tali ciarle„ . E che degli Spartani abbia voluto parlare l’autore, lo argomento da un altro passo di Platone nel suo Protagora[1], ove accennandosi quelle proprietà che distinguevano gli Spartani dagli altri Greci, dicesi di loro: οἱ μὲν ὦτά τε κατάγνυνται: cioè, che hanno le orecchie contuse. Questo passo è pure stato mal inteso dagl’interpreti, supponendo il Meursio[2] che Platone abbia voluto dire che gli Spartani s’incidevano le orecchie da loro medesimi (aures sibi concidunt); e perciò con pari abbaglio ha spiegate le seguenti parole ἱμάντας περιειλίττονται , con dire le ravvolgono con corregge, quasi che gli Spartani dopo d’essersi incise da loro stessi le orecchie, con corregge se le avvolgessero[3]. Ognun però agevolmente comprende che qui parlasi di cesti, ossia di fasce per la lotta, colle quali avviluppavansi le mani i Cestiarj, siccome altri prima di me ha osservato[4].


§. 28. Un

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  1. Pag. 342. C. oper. Tom. I.
  2. Miscell. Lacon. lib. 1. cap. 17. oper. Tom. iiI. col. 147. in fine.
  3. La parola incidere usata da Winkelmann anche nei Monum. ant. Par. I. cap. 24. n. 2. pag. 76., ove ripete queste stesse cose, non corrisponde al latino concidunt usato da Serrano, e da Meursio; ma dovea tradursi, rompono, acciaccano; e allora non vi era più luogo a critica. Platone scrive qui, che varj popoli della Grecia imitavano le costumanze degli Spartani; e alcuni a loro imitazione si fracassavano le orecchie coi pugni, e se le ravvolgevano con corregge; cioè a dire, che da essi aveano appreso gli esercizj del pugillato, ne’ quali solevano farsi tali cose.
  4. De la Nauze Mém. sur l’état des scienc. chez les Laced. Academ. des Inscript. T. XIX.
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