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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:523|3|0]]Altri, ch’io sappia, non avea fatta finora questa osservazione. Giunone si procurò tal cinto, affine di eccitare più vivi desiderj di sé in Giove, e se lo pose in grembo, come dice Omero[1], cioè intorno alle reni[2], ove appunto sono cinte le mentovate figure: quindi è probabilmente che i Sirj da-[3]
vano |
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- ↑ Il. l. 14.. v. 219. 223^., Nonn. Dionys. lib. 4. vers. 190. pag. 150. num. 23., lib. 32. vers. 31.
- ↑ Vedasi ciò che altri hanno scritto intorno al Cinto di Venere, e si scorgerà quanto male siensi apporsi. Prideaux not. ad Marm. Arundell. p. 24.. ad Smyrn. decr., e Rigault ''not. in Onosandri Strateg pag. 5. lo prendono per un vestito, anziché per una fascia. Gl’interpreti d’Omero non hanno nemmen essi ben inteso il senso del citato passo; e dire ἐγκάτθεο κόλπῳ , mettilo (cioè il cinto) in grembo, non e lo stesso che καταχρύψον ἰδίῳ κολπῳ nascondilo nel grembiule, siccome spiega lo Scoliarte. Eustazio non comprese nemmen egli il vero senso di questa voce, facendola derivare da κεστός. Aristide all’opposto, parlando di questo cinto, Orat. isthm. in Nept. Tom. I. pag. 23., lascia da parte quel che esso fosse, e come posto ὅστις ποτὲ οὗτος ὁ κεστός ἐστιν [quicumque tandem ille (cestus) est. Il sig. Martorelli professore di lingua greca a Napoli osserva assai bene de Reg. Theca Calamar. lib. I. cap. 7. pag. 153., non esser quello un sostantivo, ma un aggettivo, che in luogo di sostantivo hanno usato i poeti greci de’ tempi posteriori. Sembra che l’autore Anthol. epigr. græc. lib. 5. num. 56. d’un greco epigramma su Venere non abbia ben compreso qual cintura venisse indicata dalla voce κεστὸς, per cui intende la cintura ordinaria che portavasi sotto il petto ἀμφὶ μαζοῖς κεστὸς ἕλιξ [ circa mamillas cestus retortus. In un altro epigramma dello stesso libro num. 19. pag. 699. si prende per un velo, o fascia che a Venere scenda dal capo sino al petto:
- ...In pectore vero deæ
- Cervice ex summa fusus volvebatur cestus. ]
- ↑ sul fianco, e intorno al ventre delle di lei statue, come in quelle, ch’egli nomina; ma non intese per questo di negare, come ha creduto anche il signor Lens Le Costume, ec. liv. 2. chap. 1. pag. 32., che usassero qualche volta un doppio cinto altre deità, e donne, e che con esso si vedano nelle antiche loro figure; perocché nei Mon. ant. ined. Par. I. cap. 12.pag. 37., ove più a lungo tratta del Cinto di Venere, dice chiaramente il contrario, scrivendo, che quella seconda cintola, la quale serviva per ritirare in su la tonaca, non è visibile in figure di altre deità, o donne, ma resta coperta dalla parte della tonaca ripiegata, che cade in giù; come è difatti nelle figure, che cita il signor Lens, nella figura di Pallade, e di altre figure muliebri presso il Bartoli Admir. Antiq. Rom. Tab. 63. 64. e 65.; di una nelle Pitture d’Ercolano Tom. iI. Tav. 21.; nei suddetti Monumenti antichi, num. 114., e in altre innumerabili: Sebbene non possa dirsi, che tutte le figure, le quali hanno il secondo cinto solamente, lo abbiano coperto; avendolo scoperto in parte la creduta Flora Farnese, che per altro potrebbe essere una Venere, come abbiamo accennato alla pag. 322. not. d.; e una statua, che se non è restaurata, rappresenta la Vittoria, nel Museo Granducale, riportata dal Gori Mus. Fior. Statuæ Antiq. Tab. 70. Winkelmann al luogo citato dei Monumenti chiama zona quello cinto: con che fa vedere, che non lo confonde collo strofio, come ha creduto il signor Lens loc. cit. pag. 31., che lo confondesse qui avanti nel §. 28.; e non ha osservato il signor Lens, che non solo il primo cinto, ma arche il secondo si chiama strofio da Polluce lib. 7. cap. 14. segm. 67.
Per provare che il cesto sia proprio di Venere credo possa giovare Aristeneto libro 1. epist. 10. pag. 58. e 59., ove scrive, che quella dea aveva conceduti a Cidippe tutti i suoi onori, e grazie, eccettuato il cesto, che si era riservato, come dea: τὴν μὲν ἅπασι τοῖς ἑαυτῆς φιλοτίμως κεκόσμηκεν Ἀφροδίτη, μόνου τοῦ κεστοῦ φεισαμένη· καὶ γὰρ τοῦτον πρὸς τὴν παρθένον εἶχεν ἐξαίρετον ἡ θεός.. Nam illam omnibus suis honoribus honestavit Venus, solam sibi zonam reservans, quam præ mortali præcipuam haberet dea; e il passo di Omero credo non possa intendersi altrimenti dalla spiegazione datane dal nostro Autore.
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