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corda, ove questa è disposta in molti lunghi giri: di corda era pure, e attaccata alla suola, la parte che copriva il calcagno. Il coturno era una suola di grossezze diverse, ma generalmente era alta quanto è larga la mano: è quefto un distintivo della Musa tragica[1], la cui statua nella villa Borghese ha un coturno alto ben cinque pollici di palmo romano. Dal coturno teatrale distinguer si dee quel de’ cacciatori e de’ guerrieri, che è una specie di mezzo stivaletto, e che la maggior parte degli scrittori[2] confondono con quello. Soleasi allacciare il coturno con una coreggia, la quale, partendo dalla metà della suola, veniva a fissarsi sul mezzo del piede superiormente; ma questa stringa trovasi di raro nelle figure di divinità femminili. Si scorge però essa al di sotto della suola, ove questa parte è visibile, ed è particolare ciò che narra Plinio delle suole nella sedente statua di Cornelia madre dei due Gracchi, le quali erano senza la mentovata stringa[3]. Osserverò qui che in nessun antico monumento le suole o le scarpe hanno sotto il tallone quell’aggiunta che noi chiamiamo tacco, fuorché nella figura muliebre d’una pittura d’Ercolano[4], in cui le scarpe son rosse, e ’l tacco colla suola di color giallo[5]. Questi tacchi chiamavansi καττύματα, ed erano formati di pezzetti di cuojo insieme uniti[6].

[Aveano de’ fregi alla veste...] §. 6. Parlando degli ornati muliebri, dobbiamo distinguere quell’ornarsi che sol consiste nella leggiadra maniera di disporre e gettare i panni, o i veli, e formarne le pieghe, dai fregi che ai panni medesimi intessuti sono, ri-


H h h ij cama-

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  1. Monum. ant. ined. Part. IV. cap. 9. §. 1. pag. 248.
  2. Scalig. Poet. lib. 1. c. 13., Pitt. d’Erc. Tom. I Tav. 4. num. 10, p. 18., & Tav. 35 num. 22.pag. 186.
  3. lib. 34. cap. 6. sect. 14.
  4. Si vede alto su di altri monumenti, e specialmente alle figure della Giunone Lanuvina, colle scarpe repande, nelle monete, e tra le altre nel rovescio di una della famiglia Procilia presso Begero Thes. Brandeburg. Tom.I. pag. 580.
  5. Pitt. d’Erc. Tom. IV. Tav.43.
  6. Schol. Aristoph. Equit. vers. 317.
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