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496 | storia di milano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia di Milano I.djvu{{padleft:522|3|0]]esteri, quello che vi consumava il duca per la sua corte e per le sue pompe, quello che si raccoglieva per fabbricare il Duomo dalla divozione de’ cittadini delle altre città; e per conseguenza aveva mezzi grandi per i tributi. Certamente che il duca pose in opera tutti i ripieghi per radunare il denaro, e fra questi ricorse ad uno di que’ metafisici ritrovati che, colla idea di tener celato il tributo, opprimono i popoli, più ancora di quello che non faccia un tributo sinceramente richiesto. L’Argellati ci ha pubblicata la legge monetaria, colla quale comandò quel principe che tutte le monete si dovessero spendere a maggior numero di lire; così che, da quel giorno in avanti, la moneta che correva per tre soldi, dovesse essere spesa ed accettata per quattro soldi; salvo però il pagamento de’ tributi, che eccettuò e volle che venissero pagati a ragguaglio dell’antica moneta[1]. Con questa operazione quel sovrano defraudava i suoi creditori e stipendiati d’una quarta parte di quanto loro competeva. Ma tanti furono gli inconvenienti di questa indiretta operazione, che poco dopo la dovette rivocare, e restituire le monete al primiero loro corso; di che ne ha trovati i documenti il conte Giulini nell’archivio della città[2]. La superiorità che aveva il Visconti sopra degli altri principi confinanti si conosce dalle frasi che adoperava nelle lettere ch’egli scriveva; e ciò anche da principio, avanti che avesse tanto dilatato il suo dominio ed acquistata la dignità ducale. Il Corio[3] ci trascrive le lettere che Gian Galeazzo scriveva ad Antonio della Scala, sovrano di Verona e di Vicenza, e le risposte che