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xxii i. u. tarchetti.

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  Eppur quel fior sì frale e delicato
Ha la mia forte gioventù distrutto
Ha la saldezza del mio cor spezzato.

In quella del Tarchetti direbbesi quasi che si sieno fuse due grandi anime; quella di Heine e quella di Leopardi. La musa che al core del poeta di Düsseldorf spirò le più ingenue liriche del Büch der Lieder ed al Leopardi le strofe a Silvia ed il Consalvo, quella stessa spirò a Tarchetti le più belle pagine de’ suoi racconti e le rime più soavi di questa piccola raccolta.

Egli fu poeta come fu addolorato. I triboli e gli stenti della vita andavano di pari passo con i sogni e le creazioni della sua mente; ad un palpito violento del cuore rispondeva la strofa alata, vigile, balzante; alle belle visioni dell’anima sua rispondevano le malinconiche pagine de’ suoi romanzi. L’arte e la vita formavano in lui una totalità così salda da sfatare ogni baldanza critica, che si attentasse di

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