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aprile 1814 405

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  Ogni raggio parea d’umana speme;
  Allor fuor de la nube arduo ed accinto,
  Tuonando, il braccio salvator s’è mostro;
  Dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto;
  65Che a ragion si rallegra il popol nostro.

Bel mirar da le inospiti latebre
  Giovin raminghi al sospirato tetto
  Correr securi, ed a le braccia pie;
  E quei che in ferri astrinse ed in tenebre
  70L’odio potente, un motto od un sospetto
  Al soavi tornar colloquj e al die;
  E un favellar di gioja e di speranza,
  E su le fronti scòlta
  De’ concordi pensier l’alma fidanza;
  75E il nobil fior de’ generosi a scolta
  Durar ne l’armi e vigilar, mostrando
  Con che acceso voler la patria ascolta
  Quando libero e vero è il suo dimando;

E quel che a dir le sue ragioni or chiama
  80Lunge da basso studio e da contesa,
  Parlar per lei com’ella è desiosa,
  E l’antica far chiara itala brama;
  Che sarà, spero, a quei possenti intesa
  Cui par che piaccia ogni più nobil cosa.
  85Vedi il drappello che al governo è sopra,
  Animoso e guardingo,
  Al ben di tutti aver rivolta ogni opra;
  E i ministri di Dio dal mite aringo
  Nel dritto calle ragunar la greggia.
  90Molte e gran cose in picciol fascio io stringo;[1]
  Ma qual parlar sì belle opre pareggia?

  1. Questo è un verso tolto al Petrarca, Trionfo della Fama, II. 13. «Molte gran cose in picciol fascio stringo».
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