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106 | ester d'engaddi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:111|3|0]]
Dell’empietà d’Eleazar fu Jefte,
Pari a lui d’anni quasi: e da quel santo
Petto più volte il vero udii. La fronte
Deh rasserena; al tuo consorte, al figlio
Pensa: felice essi ti vonno. Addio.
Il pontefice attende.[1]
SCENA II.
ESTER, e accanto a lei il bambino.
Ester. Ahi lassa! appena
Gli nomo il padre, e’si, corruccia. In lui
Paterno odio non è: quel Jefte iniquo
Gliel nutre; ogn’ira, ogni cagion di pianto,
Tutto da Jefte è qui. Dio di Giacobbe,
Perchè delle tue sante are ministra
Esser permetti iniquità? Ritolto
Dal popol tuo gli sguardi avresti, e novo
Fatto a te popol, della Croce i figli?
Vero saría? Deh, s’è il dubbiar delitto;
E tu il perdona! il vero amo e nol scerno.
Ma qui al tramonto il genitor.... parlargli
Potrò? avvertirlo, che il suo asilo è noto
Al tremendo pontefice? Avvertirlo
Ad ogni costo! ei fugga! indi lo sdegno
Affronterò del traditor: palesi
L’empie sue brame ad Azaria saranno:
Crederammi Azaria, sì! tra l’amico
E la moglie ondeggiar? tra indegno amico
E amante, fida, irreprovevol moglie?
SCENA III.
JEFTE e detta.
Ester.Al padiglion tu d’Azaria? Chiamato
Da te a congresso, al tabernacol move.
Jefte. Non ci scontrammo. Or qui....
- ↑ Abbraccia di nuovo teneramento il figlio e parte.