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atto secondo.—sc. iii. 107

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Ester.                                                            Se riedi....
Jefte.                                                                      Io stesso
Qui attenderollo. Oggi i solenni riti
Loco non danno a cure altre di stato.[1]
Ester.Del figlio mio sull’orme....
Jefte.                                                   Un detto. Meglio
All’util tuo pensasti?
Ester.                                        Utile un veggio.
Jefte. Qual?
Ester.          La virtù.
Jefte.                               Virtù son molte: scegli:
Fè ostinata, o prudenza.
Ester.                                             Havvi prudenza
Dove sta infamia?
Jefte.                                              E dove è infamia mai,
Quando di cauto vel fallo s’ammanta?
Ester. Oh ardir!
Jefte.                          Se fallo onesto amor tu nomi.
Ester. Onesto?
Jefte.                     E farti sposa mia non bramo?
Ester.Oh truce idea! D’insidïar tu parli....
Jefte. Di porre in soglio il non prezzato merto.
Ester.Che?
Jefte.           Non m’intendi? In Israello, a cento
Son de’ prodi le braccia: una è la mente.
Chi regna? Ben tel sai: Jefte qui regna:
Nulla è Azaria se non per Jefte. Io gemo
Nel veder che te onor nullo distingue
Dalle altre oscure ed umili Engadditi:
Qual vita traggi, o misera? qual lustro,
Qual piacer ti circonda? E del tuo abbietto
Viver si duol pur Azaria? Nè gode
Egli in mirarti fra sue ancelle prima;
Prima forse, e non più? — Trarti vuol Jefte
Dalla tua polve: accanto a lui su tutta
Engaddi alzarti: a’ piedi tuoi sommesse
Veder le tue rivali: assumer egli

  1. Il bambino va nelle sue stanze.
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