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atto secondo.—sc. iii. 109

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Ed io più sempre quindi amarlo — e avvolta
Dell’altre donne infra la turba, in niuna
Muovere sdegno, eppure invidia in tutte!
Ah, tale, si, tal d’Azaria è l’ancella![1]
JefteTu mi dileggi: oh rabbia!
Ester.                                             E che? non brami
La felicità mia? dessa è compiuta!
JefteMenti: sul padre tuo pende il mio ferro!
Ester.Oh ciel!
Jefte                    Fa’ senno, tel ripeto.
Ester.                                                            Ah, Jefte!
L’amor tuo fero in pietà cangia: acquista
Dritti all’ossequio mio: fa’ che in segreto
(S’è ver che m’ami) io l’amor tuo compianga.
E spregiar non ten debba. — Oh, appien felice
Non sono, è ver! Ben più il sarei, se spesso
Appiè dell’ara, iniqui, audaci dubbi
Non m’assalisser contra Lui, che in petto
Al pontefice suo virtù non mise!
Dopo è del Ciel! di cieca fede in esso!
Tu in me vieppiù la ispira: egregio sia
Chi del Signore è in terra il nuncio! Allora
Sarò felice, sì; che allor l’egregio
Mortal di pace e di perdono il nuncio
Sarà: la mano ei porgerà primiero
All’infermo, canuto, esul mio padre,
Che nulla chiede fuorchè asilo, e seco
L’amata figlia, e obblio degli odii amichi....
JefteE vantarsi che a lui dèssi il rifugio
Di questo avanzo d’Israello, ed arti
Studiar nuove onde aver scettro, ed allora
Stendardo infame alzar la Croce, e a forza
Curvarvi Engaddi!
Ester.                                   No, t’inganni: ei disse....
JefteNoto da lungo m’ è l’astuto. — Io vita
Lasciargli posso: io (debol troppo forse)
Più ancora al reo concederò, se ingrata

  1. Con dignitoso trionfo.
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