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atto secondo.—sc. v, vi. 115

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La gloria, e — inorridisci! — anche gli altari!
Oh ingratitudin non udita, atroce!
E quei modesti, umili atti soavi?
Scellerata arte! arte e null’ altro! — Jefte,
In me t’affida: tacerò: un istante
Da’ tuoi consigli (nuovamente il giuro)
Dipartirmi non vo’. Ma in ciel possenti
Sono i tuoi preghi: assistimi: allontana
L’orribile sciagura! Offerte al tempio
Chiedi: tutto! il mio sangue anco ti dono!
Ma colei sia innocente!
Jefte.                                             Al ciel nulla evvi
Impossibil: t’umilia, e prega, e spera.—
Ma i cantici del volgo odo: ecco l’ora
Del sacrificio.
Azaria.                              Or or ti seguo. Ad Ester
Mostrarmi vo’, ma, tei prometto, mite.[1]


SCENA VI.

AZARIA ed ESTER.

Azaria.[2]Ester!
Ester.[3]          Del popol salmeggiante questa,
l’armi, è la voce: andiam.
Azaria.[4]                                                  Tanta bellezza,
Tanto candor!
Ester.[5]                              Che miri?
Azaria.[6]                                             Ester!... tu m’ami?
Ester.[7]Oh, il sai!
Azaria.                         No, tu non menti!
Ester.[8]                                                  E puoi?...

  1. Jefte parte.
  2. S’accosta alle stanze d’Ester e la domanda.
  3. Esce: ella è vestita con modesta pompa.
  4. Tra sè.
  5. Con affetto.
  6. Persuaso dall’amore, si abbandona alla fiducia.
  7. Con tenerezza.
  8. Senza inquietudine non dubitando di nulla.
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