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116 ester d'engaddi

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Azaria.                                                                      T’offesi?
Deh, dimmi il ver: t’offesi io mai?
Ester.[1]                                                                      M’offendi
Quando mel chiedi.
Azaria.[2]                                   Ah in quegli sguardi brilla
L’ingenuo core! oh me infelice![3] — Andiamo.


ATTO TERZO


SCENA I.

ESTER viene dal tempio con passo frettoloso, guardando intorno s'altri non la osserva.

Nessun m’insegue. Ah, purch’io ’l trovi! Ancora
Non è il tramonto.[4] — Eccolo: ei giunge.


SCENA II.

ELEAZARO e detta.

Eleazaro.[5]                                                                      Amata
Figlia.... ma che t’affanna?
Ester.                                                  Al tempio stassi
Tuttor la folla: d’Azaria il ritorno
Si celebrò con lieta pompa.
Eleazaro.                                                  Il suono
(Allor ch’io ti lasciai) per le festose
Valli echeggiar della vittoria intesi:
Ed io, sovra macigno arduo salito,

  1. Sempre credendo ch’ei non parli che per eccesso d’amore.
  2. È fieramente agitato dal timore d’ingannarsi: inosservato la guarda con ira, ma se incontra gli occhi di lei, non osa più dubitare della sua
    virtù.
  3. Si turba di nuovo, ma dissimula.
  4. Entra nella sua tenda, prende un canestro di frutte, e tosto esce. Vien fino al di qua della rupe.
  5. Riceve il canestro che essa gli dà.
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