Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto terzo.—sc. vi, vii. | 127 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:132|3|0]]
Ommetter dessi onde risplenda il vero.
All’antro di David manda, o Azaria,
Ad appurar s’uom v’albergò, e chi fosse.
Ma or fin si ponga a inutil gara: il cielo
Giudice è qui; taccia il mortale e adori.
Ester.A te, Azaria, m’involano! dorratti
Di questo error: tardo non sia il rammarco!
Azaria.Fermati: Quali accenti? Ester![1]
Ester. Il figlio
Ti raccomando.
Jefte. A forza si disvelga.[2]
SCENA VII.
AZARIA e Popolo.
Azaria.Barbari! — Ma che parlo? in me alcun dubbio
Rimane ancor? Faccia di vero almeno
Avesser sue menzogne! Eleazaro
Redivivo? oh stoltezza! oh malaccorti
Vani ripieghi! e chi seducon? — Jefte
Un traditor? L’amico mio! furente
Di sacrilega fiamma esso? il custode
D’ogni virtù! quel pio, quel santo vecchio!
Quello a noi tutti, e più a me, duce e padre!
A tal accusa è universal lo sdegno,
Il raccapriccio. — Ester, credete, amici,
Fuor di senno era: un infernale spirto
La sua mente invadea! — Che disse? Il figlio
Raccomandommi![3] II figlio! — Oh, più che morte
Orride, strazïanti, infami angosce![4]