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128 | ester d'engaddi |
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ATTO QUARTO.
Ampio sotterraneo scavato dalla natura nel monte, senza alcun lume.
SCENA I.
ESTER è svenuta: AZARIA con una lanterna erra qua e là cercandola.
Azaria.Per questi negri avvolgimenti il piede
Inoltro, e non la trovo. — Ester! — Non m’ode!
Ma, oh ciel! che veggio? Stesa al suol? Fia dessa?
Morta?... Ahi lasso! qual tremito! — Accertarmi
Non oso: l’amo io forse ancor?[1] — Svenuta
Forse.... orrendo pallor le sta sul volto....
Parmi? o respira? Oh lagrimevol vista!
Chi mi regge? Io vacillo. — Oh amata donna!
Così vederti dovev’io? Quel labbro,
Sì vivo un dì, bianco! appassito! aperto,
Ma spente le pupille! — Ah no, non vive,
Perduta io l’ho! — Che dici? Eri tradito:
Fingeva amarti, e un altro era il suo amore:
Indegna! — Eppur sì giovine! sedotta
forse! Chi sa? fors’anco in sè il nascente
Involontario affetto ella con aspri
Martiri combattea: vittoria un giorno
Avria ottenuto la ragion. — Mertava
Io l’amor suo? Fremente alma, iracondi
Modi, ingiusti sovente.... ah, l’infelice
Voleva amarmi e non potea! Mia sposa!
Ester! — Fredda ha la fronte.... il core.... è muto!
Oh, come sotto questa mano un tempo
Palpitava quel cor! — Ma dove io sono?
A che venn’io? furor, vendetta io dianzi
Spirava, e or piango. Il sento, un vil son io,
Virtù non ho: schiavo d’amore io sono:
- ↑ Le si appressa con affanno, e col lume si curva ad osservarla.