Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto quarto.—sc. i. | 135 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:140|3|0]]
SCENA II.
JEFTE che prorompe con furore, e detti. Guardie con lumi.
Jefte. Guerriero,
Quai dritti usurpi che non hai? Prigioni
Sacre son queste: e di varcarle ardisci?
Azaria.Pontefice....
Jefte. Sedotto esser dal pianto
Vuoi di costei, mentre più gravi or sono
Del delitto gl’indizi?
Ester. Oh ciel!
Azaria. Che?
Jefte. I messi
Riedon che dalle alture circostanti
Investigaro ogni erta, ogni spelonca.
Di niun vecchio ramingo evvi contezza:
Bensì di giovin cacciator che agli atti
Ed al volto e alle vesti israelita
Non sembra: esplorator forse dal campo
De’ Romani è colui: forse l’amante
D’Ester non è, ma....
Azaria. Scellerata! aggiunto
Il tradimento della patria avresti?
Tu d’un Roman?... d’un mio mortal nemico?..
Oh rabbia?[1]
Jefte.[2] Forsennato! Adoprar dunque
Dovrò la forza? Olà![3] — Cura si prenda
Dell’infelice, e il dover mio non turbi.
Ester.Lasciate ch’ei m’uccida. Ah sposo mio!
Azaria.Morir potevi senza infamia! è tardi![4]