< Pagina:Tragedie (Pellico).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
136 ester d'engaddi

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:141|3|0]]

SCENA III.

ESTER e JEFTE.

Ester.Abbominevol mostro! anima atroce!
E sul tuo viso sta infernal sogghigno!
Jefte.Tutto cede a mia possa. E debil canna
A gigantesca possa argin vuol farsi?
Eccola infranta! misera!
Ester.E non temi
I fulmini?
Jefte.                         Io li scaglio.
Ester.                                        Iddio....
Jefte.                                                       È pei forti.
Ester.Che oppressi, pur non cedono al malvagio;
Pei forti che, nel pianto e nell’obbrobrio,
Sprezzan più sempre il trionfante iniquo:
Per cotai forti è Iddio.
Jefte.                                             Quando ogni speme
Ti manchi su la terra, e tu lo invoca.
Ma ti consiglio ad indugiar; più certa
Speme ancor sulla terra io voglio offrirti;
Nè il savio mai prepone il dubbio al certo.
Vita, fama, parenti, ore beate
Siccome tòr, così render può Jefte.[1]
Non risponder sì tosto: un breve istante
Rifletti, e pensa ch’esso è omai l’estremo.
Suoi confini ha la mia possanza; il punto
Fatal verrà, che bramerei salvarti
Nè il potrei più. Necessità m’incalza:
O perder me, se te nemica io salvo,
Od immolarti onde salvarmi.... oppure,
Più savi entrambi, e collegati in fido
Vincol secreto d’amistà, ritrarci
Dall’arduo passo ove corremmo.
Ester.                                                   In detti

  1. Ester fa per parlare.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.