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atto quinto.—sc. iv. | 145 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:150|3|0]]
Sì.... dallo sdegno.... nelle fauci tronca
M’è la parola....
Ester. Dal terror, dal grido
Di lacerata coscienza. — Oh sposo! .
Credi alla voce che a me alfin ti piega,
E se altra prova anco non sorge ....
Eleazaro. (All’entrata del Tabernacolo.)[1] Il passo
M’aprite! il passo!
Jefte. Qual tumulto?
SCENA ULTIMA.
ELEAZARO, e seco un Levita prompono sino all'altare.
Eleazaro. Il rito
Scellerato sospendasi! È innocente!
Eleazaro io son! — Mia figlia!
Tutti. È desso!
Provvido ciel, grazie ti rendo!
Jefte. Oh rabbia!
Azaria.Eleazaro! — sposa! — Onnipossente
Dio, non punirmi! deh, ch’io la racquisti!
Eleazaro.[2]Son io: il proscritto fratel vostro. In fuga
Di balza in balza io andava, e d’ogni parte
Gente vedea che m’inseguia: l’antica
Mia consorte agli affanni, alla stanchezza
Non resse: per accòrre in pace almeno
L’ultimo suo sospiro, entro un covile
Io sosto, e muor la sventurata....
Ester. Oh madre!
Eleararo.[3]E in quel punto, sorpreso ecco mi véggio
Da un levita che il brando alza, e pel crine
M’afferra. «Muori» ei grida: e in un, commosso
Dallo spettacol dell’estinta donna