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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:164|3|0]]
Mi tieni tu? — Parla: hai mia fede.[1]
Giano. Alcuno
Qui non ci ascolta? — Il dì spuntava appena:
Al tempio ir voglio, ed ecco, anzi alla porta
Del mio palagio, in manto d’eremita
Uom che mi ferma — Giulio! — Abbrividii
Ravvisandolo: tosto io lo respingo,
Paventando che seco altri mi veggia:
Ospizio egli mi chiede: «A’ tuoi congiunti
Vanne,» gli dico. — «In lor fidar non posso,
Chè all’ingrata d’Evrardo ambizïosa
Alma devoti son tutti,» risponde.
Di nuovo lo respingo. — «Abbi memoria
Del padre mio, dic’ei, che il dolce amico
Fu di tua giovinezza e di tua gloria:
Per lui ten prego: un giorno sol: poche ore
Ospizio dona del tuo amico al figlio:
Niun te sospetta, e tu gran pro ne avrai.»
Pietà mi fea, ma resistei. - «Le leggi
D’ascoltarti mi vietano!» proruppi:
Alla man che m’afferra io mi divelgo,
Balzo nel tempio, e in cor m’agita fero
Dubbio, se il tristo incontro io tacer debba,
O se dover di ghibellin m’imponga
Farne dotto il senato. — Allor che Giulio
T’udii nomar, pronto avea quasi io ’l labbro
A riferir lo incontro mio: ma tema
Presomi, che sospetto a que’ gelosi
Spirti diveniss’io, perocchè il guelfo
In me fidanza avesse posta, e uscito
Libero fosse di mie mani.
Arnoldo. Asilo
In nome di suo padre ei ti chiedea,
Del padre suo, già del tuo cor l’amico!
E tu il respingi! E ne vai — dove? Al tempio!
Giano, fia ver? Tu di magnanimi avi
Figlio, tu prode, tu d’allori carco,
- ↑ Porgendogli la mano.