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atto secondo. — sc. i. 163

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Iginia.[1]                                             Madre!
Roberta.                                                  Sì.... desso!
Dalla finta canizie il giovenile
Sembiante discoperse....
Iginia.                                             Ah mi sostieni!
Egli era!... — E questi miei palpiti indegni
Al cor vietar non saprò dunque io mai?
Giulio! — Oh madre, io l’amava! Immensamente
Io quell’ingrato amava! Al padre mio
I sacri giorni a insidiar vien forse?
Roberta.No: calmati.
Iginia.                         Prosiegui: il mio pallore
Non ti spaventi. — Oh Giulio! E che cercava
Fra’ suoi nemici? Del feroce editto
Ignaro ei solo?
Roberta.                         — «Ad affrontar la morte,
» (Disse) mi spinge amor: sovra la casa
» Del consol pende alta sciagura: Iginia,
» E chiunque è a lei caro io vo’ far salvi:
» Perciò ad Iginia uopo è ch’io parli.»
Iginia.                                                            Audace!
Parlarmi, disse? E qui lo spinge amore?
Crede forse ch’io ignori?... Oh, ma qual pende
Su noi sciagura? Veritier lo estimi,
Od impostor? No, no, Roberta: ei ménte:
Egli non m’ama. E tu, sdegnata, certo,
Il cacciavi.
Roberta.                    Rampogne, ira, preghiere,
Tutto adoprava per cacciarlo. Oh figlia,
Qual torvo sguardo su me figgi?
Iginia.                                                       A guelfo,
D’Evrardo io figlia, io dar ascolto! E il pensi?
No, Roberta, nol pensi: amica troppo
A Iginia sei. Perdona: al senno tuo
Oltraggio io fea.
Roberta.                                   Misera me! Sa Iddio
Come l’insano io respingessi....

  1. Con grande affanno.
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