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atto secondo. — sc. ii. | 165 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:170|3|0]]
Poi farò l’odio tuo pago, tra i ferri
Inimici scagliandomi: chè gioja
Unica ad uom, cui tu dispregi, è morte.
Iginia.Giulio! fuggi. In qual rischio?...
Giulio. Ora opportuna,
Securissima è questa: odimi: tutta
Ne’ festivi orti accogliesi la turba:
Niun qui mi scopre. Ah, per l’immenso amore
Ch’arde — qui— per te sola, e più sempre arde!..
Iginia.Perfido! E speri anco ingannarmi?
Giulio. Oh quanto
Sdegno nel tuo sembiante! Io....
Iginia.[1] Qual rimane,
Delle vedove guelfe or tra l’illustre
Campione e me comun pensiero?
Giulio.[2] Oh, Iginia!
Sì crudo oltraggio io da te avermi, indegno
È del tuo cor. — Tu pur, tu alle sciagure
Insultar d’onorata inclita stirpe,
Che i suoi prodi, e sue case, e suoi tesori
Perdea miseramente, e a far palese
La sua innocenza non trovava un solo
Vendicator! — Io quello esser dovea,
Io, d’Iginia l’amante, o d’un tal core
Immeritevol divenir! — Manfredo
Fratel d’arme non m’era? Alterna gloria,
E negli studi, e nelle giostre, e in campo,
Sin da’ più giovanili anni segnato
Noi pari entrambi avea, fulgido esempio
D’amistà e di virtù. Che? abbandonarlo,
Di sua innocenza io conscio, allor che vili
Tradimenti apponeagli un vil senato
D’oro e di sangue sitibondo sempre?
No, difenderlo! e te perder piuttosto,
Te sommamente amata.... abbenchè figlia,
Ahi, d’un tiranno!