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166 | iginia d'asti |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:171|3|0]]
Iginia. Il padre mio rispetta.
Giulio.Difendere l’amico, e gridar empia
La legge, che alla patria il miglior tolse
De’ cittadini suoi! Scuotere il sangue
D’un tal eroe dal ghibellin mio manto;
E non più ghibellin dirlo, chè infamia
Stava e delitto su quel nome! E il giorno
Che alla raminga vedova e ai pupilli
Non rimanea ricovro altro che i guelfi,
Seguirli nell’esiglio! e miei fratelli
Color nomar, che del mio amico ai figli
La ghibellina origine obliando,
Offrian la destra, e ospital tenda, e scudo!
Tale, adorata Iginia, era del prode
Che tu amavi il dover! dover, ch’enormi
Sacrificii m’impose: ah, mi credea
Che Iginia li sentisse — ella mi spregia!
Iginia.Reo non sarebbe? oh, me infelice!
Giulio. E duolti
Ch’io spregevol non sia!
Iginia. Giulio, deh, lascia
Ch’io forte sia nell’abborrirti!
Giulio. E il brami?
No.
Iginia. Ma creder poss’io? Te l’onorata
Vedova di Manfredo....
Giulio. Amante mai:
Amico avrammi sempre.
Iginia.[1] Amante, mai?
Quel volto, quel linguaggio.... Oh qual barbarie
Saria il tradirmi!
Giulio. Oh gioja! ancor tu m’ami 1
Tu m’ami, sì. — [2] Debol fanciulla! E tanto
Avvilir la tua grande alma potevi,
Sì indegnamente gl’incolpevoli atti
(Lascia ch’io ’l dica), i più magnanimi atti