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172 | iginia d'asti |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:177|3|0]]
SCENA V.
GIANO e le Guardie conducoso ROBERTA. EVRARDO rialza la figlia che non dà segni di sentimento.
Giano.[1]Ite: ovunque s’insegua.
Roberta.[2] Oh figlia mia!
Roffredo.[3] Che? il vedeste?
Giano. Balzato è da un verone:
Ma scampo a lui non fiavi: ancor dischiuse
Della città non son le porte. — In nome
Della legge domando or che tradotte
In carcer sieno e queste donne entrambe,
E del sospetto Evrardo i servi tutti.
Evrardo.Oh rabbia!
Roberta. Io sola, io son la rea!
Evrardo. Costei,
Sì, che tradiami, in carcere si ponga:
Mallovador mi rendo e per Iginia
E pe’ famigli miei.
{{T|Iginia.[4]|sp=30} Dov’è? Con esso
Morir vo’.
Evrardo. Sciagurata! In qual abisso
Precipitato hai di tuo padre i giorni!
Iginia.Roberta! ohimè, dove ti traggon? — Padre,
Pietà! pietà!
Evrardo. Colei più non la merta.
Roberta.[5]Addio!|
Iginia. Seguir la vo’. — Padre....
Evrardo. In me scorgi
Il console, empia! il tuo giudice.... e trema![6]