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atto terzo. — sc. ii. | 175 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:180|3|0]]
Dritto avran forse ad eminenti troni....
Sì, tal mia speme, tai le ardenti cure
D’un’genitor che troppo t’ama, e a cui
Mercè si ingrata rendi![1]
Iginia. Ah signor!... Mai
Pria d’or teneri detti.... alla tua figlia
Tu non volgevi.... mai, dacchè svaniti
Sono i bei giorni in che vivea l’amata
Mia genitrice! — Or a que’ giorni, o padre,
Tu mi richiami: allora pur, se irato
T’avess’io, miste mi scendeano al core
E tue rampogne e tua pietà. Deh, torna
Qual eri allor!... Te della gloria lunge
Dalle cure tenea la genitrice:
Tue domestiche mura ad ogni reggia
Anteponevi: meno spesso il suono
Di festeggianti arpe s’udia: men folto
Corteggio ne cingea: rari i conviti,
Rari gli amici, e pur maggior la gioia!
Nè sull’amata tua fronte appariva
Quella nube ch’or sempre e nuove brame
E nuovi affanni e nuove ire palesa,
Onde affrettata è tua vecchiezza. Ah, il giuro,
Segretamente alcune volte io piango
Per ciò! — Non grave è l’età tua, ma veggo
Far, più che gli anni, al tuo sembiante oltraggio
I voraci pensieri: e dirtel mai
Non osava pria d’or, perocchè tanto
Cangiato era il tuo sguardo, e m’atterria.
Padre, se m’ami, deh, i tuoi cari giorni
Serba alla figlia tua! Gloria, potenza
Che fien per me, se di tua pace a costo
Io le ottenea? Viverti al fianco, e liete
Col mio tenero ossequio a te far l’ore,
E prolungare il viver tuo, ed amata
Esser da te: null'altro io chieggo.
Evrardo. Affetti
- ↑ Con rammarico o tenerezza.