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178 iginia d'asti

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Dell’error suo macchia su noi.
Iginia.                                                        Che intendo?
Evrardo.E udir da te vo’ pria quali empi arcani
Colui narrotti: d’una trama al certo
Le fila ei ti mostrò. — Se l’ira mia
Paventi, se placar sdegnato padre
Desii, sincera parla. Alto servigio
Fa’ ch’io rechi alla patria: io della trama
Palesator maggiori diritti, il vedi,
Sovra il comune ossequio indi n’acquisto:
Liberator della città m’appello....
Liberatore e prence è un titol solo.
Quanto m’importi il parlar tuo, tu ’l senti:
Obbedisci.
Iginia.                     Di Giulio — ah, poiché salvo! —
 Tutto narrare a te poss'io. Ma farmi
Accusatrice io dell’amica? Oh cielo! —
No, nol dicesti. Io con materna cura
Fra sue braccia cresciuta! Io cui, morendo,
Disse la genitrice: «A te una madre
Lascio in Roberta!» — E tu l’udivi: e sacri
T’erano pur della morente i detti!
Ah! per quelle memorie, io ti scongiuro,
Dai ceppi sciogli la infelice, rendi
A me la madre mia. D’alcuna colpa
No, non è rea: Sotto mentite spoglie
Presentavasi il guelfo, e invan cacciarlo
Voleva ella: ad udirlo indi costrette
Fummo, perocchè addotto esser da grave,
Generosa cagione egli dicea:
Nè mentiva ei....
Evrardo.                                    Di tessermi l’elogio
Nè di quella t’imposi io, nè di questo:
D’obbedirmi t’imposi.
.Iginia.[1]                                             «Appien Roberta,
Dicesti, s’accusò? pèra, dicesti?»
Ahi parola! ritraggila: mai calma

  1. Invasa dal dolore non bada.
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