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192 iginia d'asti

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Dianzi il lasciava il padre tuo.
Iginia.                                                  No: assiso
Vi sta uno spettro. Ahi vista! In volto scritto
In note atre di sangue ha.... «il parricida.»
E quelle note all’infelice in guisa
Deformàr le sembianze, che a null’uomo
Di lui sovvien.... nè a me. — Perchè tergendo
Va il regal serto, onde le chiome ha cinte?...
Le gioie di quel serto, ah! grondan sangue.
Deh, come piange!... Intorno a sè che cerca?
Le disiose braccia a chi protendi?
Re non sei? che ti manca?— «La mia figlia!»
L’udiste? Oh voce! Oh con qual rabbia il regio
Manto strappar vorriasi.... e più allo spettro
L’igneo manto s’agglutina, e il consuma![1]
Pietà, di lui! Pietà, Dio sommo!... è il padre!
Arnoldo. Oh spavento!
Roffredo.                          Al suo carcer si ritragga.
Roberta. Deh, ch’io indivisa da lei sia!
Roffredo. Tal grazia
Le si conceda.[2]
Arnoldo.Il senno, ohimè, per sempre
Forse perdea! — Sì miserevol caso,
Deh, vi commova!
Roffredo.                                        Difensor d’Iginia,
L’ufficio tuo compiesti: ora al senato
Spetta compiere il suo.
Arnoldo.                                              Dio di giustizia,
Un raggio tuo manda in que’ petti.


SCENA III.

ROFFREDO, GIANO, e gli altri Senatori.


Giano.                                                             Ignote
Ira e pietà son nel giudizio entrambe;

  1. Come improvvisamente ravvisandolo.
  2. Le donne vengono condotte via.
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