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atto quarto. — sc. vi. 195

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Perfidi! compri od atterriti mai
Dunque non fiano? — [1] Ah, non ho cor! — [2] «Iginia
» Figlia d’Evrardo e di Romea....»[3] .... Romea!
Ah, il dì che padre tu mi festi, e grazie
Io ten porgea sì ardenti, e con materna
Tenerezza la figlia a me additando
M’imponevi d’amarla; e giuramento
Di renderla felice io pronunciava....
Oh allor.... previsto questo di tremendo
Chi avria di noi?... No, alla ferocia nato
Non era: mostruoso un cangiamento
Qui dentro avvenne. Onde nol so. Uno spirto
Iniquo m’invadea: svellerlo tento
Invan dal sen; troppo con me il portai:
Irredimibil sua preda son fatto! — [4]
Tropp’oltre mossi: a mezzo del dirupo,
Precipitar convien; tardi è il pentirsi:
Andiam.[5] — Povera figlia! — Ad ogni altr’uomo
Fossi tu figlia, e si terria beato!
Giovin, fiorente di beltà e speranza,
Tutta pietà, virtù, dolcezza.... e a morte![6]
Il credei: non è ver! vince natura!
L’uom non può tanto incrudelir!... Canute
Son le mie chiome: e d’uopo ho d’una reggia,
A qual fine? a spirar? Solingo tetto
Mi basta, ove la pia man d’una figlia
Chiuda questi occhi!... Ma chi vien?

  1. Guarda il foglio e vuol aprirlo.
  2. Si vergogna della sua debolezza, si fa forza e comincia a leggere.
  3. È assalito da un tal tremito che è costretto d’interrompersi.
  4. Passeggia.
  5. Va alla tavola per firmare, poi gli manca il coraggio: siede, e si copre colle mani il viso piangendo.
  6. S’alza.
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