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atto quarto. — sc. vii, viii. | 197 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:202|3|0]]
Vil ti dirò, impostor, che il nome santo
Di patria, sino al tedio, iva spacciando,
Onde gli stolti affascinar. Non l’oro
Nè gli amici mi mancan.... nè la mente.
E popolo e senato in avversari
Ti si tramuteranno: un’altra mano
Stringerà il brando del poter: tu espulso,
O calpestato..... . .
Evrardo. Oh rabbia! E ove t’ascondi,
Se Evrardo sta nel loco suo, se Evrardo,
Tra l’onor e la figlia bilanciando,
Questa all’altro sagrifica?
Giano. Lo ignoro:
Forse cadrò: ma t’avrò almen spregiato!
Evrardo.Audace![1] — Oh fieri palpiti!
Giano. Urge il tempo.
Evrardo.Verghiam!
Giano. Possente, o ambizïon, sei tanto?
Vacilli?... Il foglio getti?... Ah, omai si vada
A pubblicar che un traditore è Evrardo!
Evrardo.Scellerato, t’arresta.[2] Ecco, ma trema!
SCENA VIII.
EVRARDO.
Oh delitto. Oh rimorso! — E vivo ancora?