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198 iginia d'asti

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ATTO QUINTO.

Piazza. — È buio.



SCENA I.

Due CITTADINI.

Uno di essi.[1]Oh luttuoso, atroce caso!
L’altro.[2]                                                       Antonio!
Sei tu? — Qui in notte così oscura!
Il primo.                                                             Oh Pietro!
Che mai vid’io? — Dalle prigioni io vengo.
A mirar gl’infelici io mi recava
Che morir denno: oh che pietà! Speranza
Per la figlia del console gran tempo
Ci restò: già Roberta avea con forza
Udito il suo destin: la sventurata
Fanciulla fuor di mente era, e talvolta
Con sì funesto riso, ahimè, ridea,
Che tutti fea raccapricciar: talvolta
Raggio di senno la colpia; e scorgeva
Tutta allor la sventura, ed abbracciando
L’amica, sovra lei miseramente
Urlava di dolor: «No, separarmi
» Non potranno da te: non morrai sola!»
Poi succedean nuovi delirii.... e cose
Spaventose parlava, ahi, che i mortali....
Credi.... non san, se in lor non parla Iddio!
Orrendamente il nome della morte
E d’Evrardo mesceva, e dell’iniqua

  1. Viene da una parte facendo gesti di gran compassione.
  2. Veniva dalla parte opposta, ed era mosso per traversare sollecitamente la piazza, ma udendo quella voce si rivolge dal luogo per cui s’avviava, e s’accosta all’amico.
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