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202 iginia d'asti

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Vederlo ancora! In tre battaglie insieme
Ci trovammo: in valor niun lo agguagliava!
Altro citt. Chi?
Altro.           D’un Solaro ei parla.
Il vecchio. Zitto, o figlio:
Le spie temiam.
Un cittadino.                               Dannate anche le donne?
E potè il padre?... Oh mostro!
Altro.                                                        E perchè prima
Che spunti il dì?
Altro. Taci: s’avanzan.


SCENA IV.

Alcune guardie a cavallo colla spada nuda cacciano duramente un gruppo di gente che era nella via delle prigioni, e vanno qua e là respingendo il popolo, il quale s'ammucchia foltissimo in fondo della scena. Vengono quindi molti alabardieri, e si schierano dinanzi al popolo, facendo obliquamente due file, fra le quali i rei possano venire condotti con sicurezza al luogo del supplizio, che si suppone non molto lontano, in fondo d'una via che è dalla parte opposta alle prigioni. — Succedono preceduti da alcune fiaccole, e circondati da folta guardia gli otto o dieci cittadini condannati: questi sono giovani di nobile aspetto. Le guardie siano tutti uomini di guerra, e fra loro nessuna figura infame. — Vanno a passo alquanto lento. Gran silenzio. — Dopo lo stuolo suddetto, comparisce fra alcune poche guardie IGINIA. È sostenuta da una parte da ARNOLDO, e dall' altra da una damigella. Cinque o sei altre donne la seguono col fazzoletto agli occhi. — All' allontanarsi de' primi condannati, una guardia fa cenno, che IGINIA aspetti qui il suo momento. — IGINIA ha i capelli sparsi: i suoi occhi sono essiccati dal gran piangere. — Tace ora la campana funebre, supponendosi che l'esecuzione incominci.

Iginia.                                                            Giunti
Non siamo ancor? Perchè fermarci?[1] Ahi, veggo
Orrendamente illuminato.... un palco!
Arnoldo.[2]Figlia — all’estremo di tue pene omai,
Non t’avvilir.

  1. Guarda nella via del supplizio.
  2. Ritraendola tosto.
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