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atto quinto. — sc. iv. | 205 |
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Richiama: ecco il momento.
Iginia.[1] Eterno Iddio,
Deh, l’olocausto benedici, e plachi
L’ira, onde questa rea terra t’accese!
L’ultimo sia innocente sangue il mio
Che qui si versa! Alfin dona alla patria
Figli che non s’abborrano, e a que’ figli
Dona tai genitor, cui non rincresca
Di lor prole la vista! ed a vicenda
Qui regni pace, amor, virtù, concordia!
Perdona a chi mi uccide: anch’ io perdono!
Piangerà Evrardo misero.... deh, tempra
I suoi rimorsi! abbi pietà di sua
Desolata vecchiezza! A lui perdoni
Giulio pur!... Deh, proteggili!... Proteggi
Quest’alme pie che nelle estreme angosce
Mi fur sostegno, e l’alma mia ricevi![2]
No, magnanimo zio: lasciami. Troppo
Crudel sariati.
Arnoldo. Nè un istante io voglio
Abbandonarti, e teco possa quindi
Tormi d’infra i viventi il dolor mio.
Iginia.Tu il vuoi? Negartel non poss’io. Ma a queste
Misere, no, giammai fia ch’io ’l conceda.
Per pietà di voi stesse.... E indebolirmi
Vostra vista potria: prego e comando
Ven fo, restate.— [3] Addio! Siate felici! [4]
- ↑ Si scuote: la ricordanza di Roberta i’ha rimessa pienamente in senno: si getta in ginocchio; e pronuncia con fervore questa preghiera.
- ↑ Si alza risoluta, saluta in fretta per non commoversi Arnoldo e le donne, e si muove per seguire le guardie. Arnoldo e le donne vogliono seguirla.
- ↑ Quelle ritirandosi accennano d’obbedire, Iginia le saluta, fa un passo per partire, poi corre ancora ad abbracciarle a una a una teneramente.
- ↑ Parte collo zio tra le guardie. Molto popolo la segue. Le damigelle, piangendo desolatamente, si ritirano.