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226 | gismonda da mendrisio |
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Questa ventura non togliam.
Ariberto. Chi viene?
Donna è — Gismonda! — Arretrati.
Gabriella. Il suo aspetto
Mestizia esprime. Oh! cui mestizia é nota,
Anco pietà ver gl’infelici é nota:
Approssimiamci.
Ariberto. Al padre, si; a Gismonda
Non posso.
Gabriella. Chi tra offeso padre e un figlio
Meglio di donna può interceder? — Vedi
Com’é pensosa, e pallida; — e soave
Parla alle ancelle sue. No, su quel volto
Maligna impronta non appar. — Tu fuggi!
Ariberto.È forza, è forza che io mi scosti. A lei
Ignota se’: l’animo suo potresti
Tentar.
Gabriella. Sì.
Ariberto. Messagger fingiti, nuncio
Della mia morte. In quel tugurio io traggo.[1]
SCENA II.
GISMONDA, DAMIGELLE E DETTA.
Gismonda.L’inferma vecchia consolare io stessa
Con alcun dono intendo. Ite: porgete
Questi soccorsi agli altri addolorati.
Gabriella.(Benefic’alma!)
Gismonda. Dite lor che in festa
Tutti vogli’io, però che in polve alfine
Seppi Milano.
Gabriella. (Oh barbara!)[2]
Gismonda. Chi sei,
Giovin guerier?
Gabriella. Signora, apportatore