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atto quarto. — sc. ii, iii, iv. 249

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SCENA II.


GISMONDA.


Stupor gli reca il palpitar mio novo:
Ah son palpiti antichi! Ah, veder temo
Preda Ariberto a’vili suoi nemici!
Empio Ermano! E che val che a me medesma
Finga d’amarti, di pregiarti? Basso,
Inverecondo, di te solo amante
Ti vidi sempre. E sposa tua son io!
Che dico? Incitatrice io d'odio sempre
D’Erman nel cor non fui contra Ariberto?
Cangiata, ohimé! cangiata io son. La vista
D’Ariberto m’affascina. Invocai
Mille volte sua morte, e or la pavento.


SCENA III.


IL BAMBINO E DETTA


Gismonda.Ecco il suo figlio. — Oh come è vago! Al padre
Come somiglia! — Odi, bambin; chi cerchi?
Bambino.La madre mia.
Gismonda.[1]                                   Tua madre.... esser vogl’io.
Invidïabil sorte! Oh tenerezza!
Essere ai figli d’Ariberto madre!
Come que’figli amato avrei! Ribrezzo
Fammi il pensar che un’altra il partoria;—
Pur la sua vista i miei dolori attempra,
Ah, d’Ariberto, d’Ariberto è figlio!


SCENA IV.


GABRIELLA E DETTI.


Gabriella.Fra le tue braccia il figlio mio? Ma ratto
Perchè il deponi? Dolce emmi vederti

  1. Lo prende in braccio.
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