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256 | gismonda da mendrisio |
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SCENA VIII.
IL CONTE, ARIBERTO, GABRIELLA E DETTA .
Il Conte. Dove t’affretti?
Gismonda Udite:
Provvedete allo scampo: un tradimento
Tutti vi perde.
Ariberto. Spiegati.
Il Conte. Vaneggi?
Gismonda. Ohimè! che dissi?
Ariberto. Ermano forse?...
Gismonda. Io stessa,
Io vi tradii. Pel sotterraneo fosso
Che mette capo nella selva, addurre
Entro il castello immaginai gli Svevi.
Ariberto. Chiusi i cancelli non ne son?
Gismonda. Le chiavi
Consegnate ho al nemico.
Il Conte. Empia![1] — Accorrete
Del loco alla difesa. — Onde perfidia
Così inaudita?
Gabriella. Ah, no, delirio è questo.
Non vedete quai palpiti angosciosi
La sventurata opprimono? Gismonda!
Gismonda!... tu non m’odi. — Ah soccorriamla!
Fuori è di sè.
Gismonda. Ti scosta, o fra le donne
La più esecrata. E allor ch’io ti respingo,
Perchè a me innanzi, o invereconda, il braccio
Afferri d’Ariberto, e a lui ti serri
Quasi secura di sua aita? Aita
Darti sovra la terra uomo potria
Se a te avventarmi voless’io e sbranarti?
Già, dacchè, per mio strazio, ospite vivi
In queste mura, dieci volte e dieci
- ↑ Alle guardie.