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260 gismonda da mendrisio

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Tu in abbominio a’ popoli o a’ baroni,
A quello stesso imperador cui rechi
Tanto e sì reo di servitù tributo,
Como tradivi il padre tuo, tradito
Sarai da tutti; e la tua tomba i prodi
Mostreranno col dito inorridendo
E diran: «Colà giace il parricida.»
Ermano.È tardi, è tardi: il cominciato calle
Necessità vuol ch’io fornisca, o muoia.
Chi serve al signor suo serve all’onore![1]


SCENA IV.

IL CONTE.

Oh a tutte imprese scellerato manto!
Onor s’ostenta d’ogni dritto a scherno
E servo al signor tuo vantarti ardisci?
Primo signor non è a’ figliuoli il padre?
Ma qui Gismonda....


SCENA V.

GISMONDA e detto.

Il Conte.                                          O perfida, ti scosta:
La vista tua miei mali accresce.
Gismonda.                                                               Ah ch’io,
Se qui lo stuol sacrilego penètra,
Scudo almeno ti faccia! Ah ch’io un istante
Cessi d’essere iniqua e maledetta,
E pio ti renda filïale uffizio!
Il Conte.Oh del mio lutto abbominevol causa!
Che mi val tua pietà? Tu de’ miei figli,
Tu delle torri mie spogliarmi ardevi.
In che t’aveva offeso io mai? Le guerre
T’avean rapito e il padre tuo e gli averi,

  1. Si strappa dalle mani del padre e fugge.
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