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264 | gismonda da mendrisio |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:269|3|0]]
Forse volea, senza accennarne il vero
Autor del tradimento. A nostre spade
Forse indicarlo non volea.
Gabriella. Quai grida!
Il Conte[1]Le grida della gioia. Eccolo: il veggio,
Col nuovo stuol si scaglia il mio Ariberto.
Gabriella.Ah, ch’io voli al suo fianco! Il figlio mio,
Deh, custodisci, o padre.
Il Conte. E te protegga
Col suo scudo invisibile l’Eterno.[2]
SCENA VIII.
IL CONTE, GISMONDA, il Bambino.
Gismonda.Allo scampo del tuo sposo t’avventi,
O generosa fortunata. Ognuno
Benedirà al tuo nome, ognun sublime
Chiamerà l’amor tuo. Ma generosa
Esser che val, che vale amore, ad altra
Che non sia fortunata? Ah sulla terra
Non v’è dunque giustizia, e gl’infelici
Dunque empi son, perchè sono infelici?
Il Conte.[3]Chi vincerà? Misero me! Da quella
Parte combatte un figlio mio, da questa
Combatto un altro. Oh ciechi! oh furibondi!
Fratelli siete, unitevi; i ladroni
Che il tetto nostro invasero espellete.—
Che dico? Ov’è quel tempo in che alle insegne
Imperïali avrei tutto immolato,
E il figliuol che aborriale io rigettava?
Ed ora, or sol perchè m’offendon, empie
Son divenute? E ch’è giustizia? L’uomo
Spesso nol sa. Doveva io maledirti,
Dunque, Ariberto mio, perchè giustizia