< Pagina:Tragedie (Pellico).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
266 gismonda da mendrisio

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:271|3|0]]

Ed il fratello tuo salvar tentai!
Oh, che sento? Quai gemiti? Chi viene?
Ermano!


SCENA X.

ERMANO ferito sorretto dal CONTE e da RICCIARDO, e detti.

Il Conte.                  Oh mio figliuolo! oh sciagurato!
Qual funesto delirio a questo fino
Ti trascinò?
Ermano.                         Ascondetemi, ch’io il volto
Del vincitor non vegga. Eccolo.


SCENA ULTIMA.

ARIBERTO, GABRIELLA e detti.

Ariberto.                                                                 Oh vista!
Il Conte.[1]Barbaro, mira: il furor tuo l’ha spento.
Ariberto.No, padre: il ciel n’attesto; Erman n’attesto.
Ei quattro volte mi chiamò codardo,
Perch’io delle fraterne armi evitava
Il sacrilego scontro, e quattro volte
La taccia di codardo io sopportai.
Ermano.Ah, dice il vero.... io ’l provocava.... ei pio
La sfida ricusò. — Per altri acciari
Dio mi punì. — Deh, a mia furente invidia,
Padre.... fratello.... perdonate.
Il Conte.                                                                 Oh figlio,
Così perdoni a te il Signor!
Ariberto.                                                       Fratello,
Nemico m’eri: io te non odïava.—
Mira, Gismonda scellerata, or quale,
Gli Svevi introducendo entro lo mura,
Opra compivi: ei muore.
Ermano.                                                  Alla infelice
Perchè tali rampogne? Oh! in qual inganno....
Fratel..... sei tu!... Dal tradimento volle

  1. Ad Ariberto.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.